VAMOS A LA CUMBRE!
Siamo in viaggio ormai da più di 30 ore e finalmente dai finestrini dell’aereo tra le nubi si
scorgono le Ande, la Cordillera Real.
La Paz si sta avvicinando, siamo stanchi ma non vediamo l’ora di mettere piede in terra boliviana
e di iniziare la nostra avventura.
Tra le nuvole scorgiamo la periferia di La Paz, tutto è bianco, sta ancora nevicando, cosa
inusuale per questo periodo perché, sebbene siamo alle porte dell’inverno australe, questo
dovrebbe essere il periodo più secco dell’anno.
Di colpo l’aereo vira e vediamo La Paz allontanarsi, ci dicono che le condizioni non sono buone
per l’atterraggio. Facciamo uno scalo tecnico all’aeroporto di Cochabamba e dopo un’ora ripartiamo,
questa volta è quella buona e finalmente atterriamo ad El Alto, immenso sobborgo di La Paz
dove è ubicato l’aeroporto più alto del mondo.
Recuperiamo i bagagli, ci incontriamo con una delle nostre guide locali e ci incamminiamo
spavaldi verso il nostro pulmino ma bastano pochi metri per farci capire che siamo a 4.050m slm,
ovvero 250m sul livello del lago Titikaka, e cominciamo a tirare il respiro.
Fuori è tutto coperto da una soffice coltre bianca, sembra un dolce regalo.
Partiamo alla volta del centro della città.
La Paz, la capitale più alta del mondo, situata sull’Altipiano delle Ande si sviluppa in una vallata tra i 3200m e i 4100m e sullo sfondo le cime innevate del monte Illimani con i suoi 6462 m. La prima particolarità che notiamo è che qui sono i benestanti ad abitare nelle zone in basso ed i meno facoltosi nella zona in alto. A seguito di migrazioni interne dalle campagne, sulle colline che circondano il centro cittadino sono sorti dei barrios che si sviluppano senza soluzione di continuità fino a congiungersi con la città/sobborgo di El Alto (1 milione di abitanti), che si estende sull’altipiano a perdita d’occhio.
Per arrivare all’albergo scendiamo per un dedalo di strade ripidissime, strette e super trafficate e subiamo il primo impatto, un po’ scioccante, con il caos di La Paz. Col tempo ci renderemo conto che in realtà è un caos che funziona perché, per quanto qui non si rispettino le precedenze e si proceda a suon di clacson, nessuno si arrabbia e pedoni e cani passano indenni in qualsiasi punto della strada tra le macchine che si aggrovigliano prepotenti.
Una volta sistemate le nostre cose nelle stanze ci tuffiamo nel vivace centro della capitale boliviana. Da subito ci rendiamo conto che la più piccola salita qui diventa una scalata: occorre rallentare e controllare il respiro, facciamo tutti una grande fatica mentre i ragazzi e le signore corrono con i loro zaini e le borse della spesa ed i vecchietti, pur muniti di bastone, ci superano allegramente.
Ci guardiamo attorno e ci colpisce la vastità del mercato all’aperto che si sviluppa nei suoi mille colori e odori tra le strade che circondano il nostro albergo. Nelle bancarelle, gestite per lo più dalle cholite, le donne Aymara vestite con costumi tradizionali indigeni con la classica bombetta in testa, si può trovare di tutto: prodotti alimentari, abbigliamento, drogheria, fino ai prodotti tecnologici ecc. Si respira un’atmosfera calorosa ed accogliente.
I due giorni successivi saranno dedicati ad un breve periodo di acclimatamento sul lago Titikaka. La mattina della partenza, piove a dirotto, il termometro segna 2°C e il pulmino che ci viene a
prendere è coperto da più di 10cm di neve.
Il viaggio verso il lago Titikaka si svolge su autostrade o meglio su autopiste, passando per
villaggi sugli altopiani ricoperti di neve dove cominciamo e vedere la vera vita, i veri colori,
l’essenza della Bolivia rurale.
Il lago Titikaka è immenso con i suoi 200km di estensione tra Perù e Bolivia. Appena lo vediamo
ci sembra di essere di fronte ad un mare e anche per i boliviani è così, tant’è che, come ci
spiega la guida, in Bolivia è usanza definire le quote proprio rispetto al livello del lago, ovvero
rispetto ai 3800m. Perciò El Alto si trova a 250m sopra il livello del Titikaka e non a 4.050m slm.!
La nostra base per questi due giorni è Copacabana, il principale centro turistico boliviano sul lago.
Mettiamo alla prova le nostre capacità fisiche e facciamo due escursioni interessanti a La Horca
del Inca ed al Cerro Calvario. Anche se alle nostre altitudini si tratterebbe di poco più di una
passeggiata la quota si fa sentire e ogni pochi passi ci fermiamo per prendere fiato. Davo e
Mukuku da subito hanno una marcia in più e procedono più spediti. Il giorno successivo dopo un
paio d’ore di navigazione in acque abbastanza mosse sbarchiamo sull’Isla del Sol dove visitiamo
un antico tempio Inca, pranziamo in un ristorantino familiare con una bellissima vista che spazia
oltre al lago fino alla Cordillera Real e, per riprendere la barca 200m più in basso, scendiamo per
la scala dell’Inca incrociando asinelli e campesinos che portano carichi incredibili sulla schiena.
Una breve traversata ci porta alla vicina Isla della Luna dove visitiamo le rovine del Tempio delle
Vergini, al quale un tempo poteva accedere soltanto l’Imperatore Inca. Entrambe le isole sono
caratterizzate da terrazzamenti, oggi in gran parte abbandonati, che in passato venivano coltivati
intensamente grazie al clima più mite rispetto al resto dell’altipiano boliviano. Visitiamo un altro
sito sulla collina, meta di preghiere e rituali degli Sciamani in onore a Pachamama, ovvero Madre
Terra (anche se la religione cattolica è stata imposta dai conquistadores spagnoli, l’antica religione
non è stata mai abbandonata del tutto dai nativi e oggi convivono assieme). Mentre siamo lì a
passeggiare ammiriamo sullo sfondo del lago sulla costa peruviana un temporale con lampi da
brividi.
Un po’ come i brividi che sentiamo negli alberghi e nei ristoranti dal momento che non esistono
gli impianti di riscaldamento e impariamo, sulla nostra pelle, un’altra particolarità: qui si mangia
con la coperta sulle ginocchia e si dorme con tre coperte una sopra l’altra. Potevamo intuire tutto
questo semplicemente osservando che gli edifici non hanno il camino.
Tornati la sera a La Paz, siamo pronti, ci aspetta la Cordillera Real, per un trekking di tre giorni
attorno al gruppo del Condoriri, la montagna che vista da lontano ricorda un condor.
Partiamo la mattina in furgone, purtroppo subiamo la prima defezione: causa l’altitudine, Chicca
sta male, ha la febbre e resta a La Paz in albergo.
Il pulmino passa per meravigliosi altopiani ricoperti da un bel po’ di neve, cosa che, come ci
spiega la guida, non capitava da moltissimi anni e che se da un lato rende il tutto ancora più
entusiasmante dall’altro ci causa non pochi problemi. A causa della troppa neve il percorso che ci
avrebbe dovuto portare al primo accampamento è, secondo il giudizio della nostra guida Julio,
troppo rischioso per gli animali da soma e quindi ci viene proposta un’alternativa che ovviamente
accettiamo. Raggiungiamo direttamente il campo base del Condoriri a 4800m, dove era previsto il
secondo pernottamento, composto da tre baracche, adibite a rifugio, situate in una conca amena
sulla riva di un lago, sotto la spettacolare parete del Condoriri.
Dopo un po’ arrivano anche i cavalli con i portatori, i custodi del rifugio. Un’altra particolarità che
ci lascia stupiti, ma che qui è assolutamente normale, è che questi boliviani dell’altopiano
camminano sulla neve indossando delle semplici ciabatte a piedi nudi.
La sistemazione è molto spartana ma tutto attorno è magnifico.
Nel pomeriggio esco dall’alloggio con Dario e Walter e andiamo a cercare gli Alpaca.
Camminiamo nella neve alta e superiamo i 5.000m: siamo zuppi abbastanza e torniamo alla base
dove troviamo Flavia e Igor che non stanno bene. Questo ci rattrista molto e ci fa capire ancora
una volta la fragilità del nostro fisico sottoposto alle condizioni non banali dell’Alta Quota.
Accampati nella baracca i cuochi e le guide cercano di farci sentire a nostro agio portandoci
qualcosa da mangiucchiare e un thermos d’acqua calda con le foglie di coca essiccate per
preparare il Mate de Coca, il loro sistema naturale per alleviare i disturbi dell’altitudine.
Per cena ci portano riso, mais, patate, carne, fagioli. La cucina boliviana è costituita da cose
semplici ma molto genuine e gustose ma la vera magia è che il cibo viene coltivato in questi
luoghi da queste persone, viene portato a mano e cucinato a 5000m e condiviso tra tutti.
Scende la notte, ma nonostante il freddo qui siamo nel cuore delle Ande e non resistiamo alla
voglia di uscire ad ammirare la Via Lattea e La Croce del Sud.
La mattina a colazione facciamo i conti: Flavia purtroppo continua a stare male mentre Igor,
miracolosamente, è fresco e pimpante e in 5 partiamo alla volta del Pico Austria. In genere si
tratta di una classica gita su sentiero pietroso…noi possiamo ritenerci dei privilegiati visto che
raggiungiamo i 5350m della vetta dopo circa 3 ore di cammino faticoso in cm 50 di neve fresca!
In discesa faccio lo sbruffone e comincio a correre sulla neve con Dario ma l’ebbrezza dura poco:
ci fermiamo, ci guardiamo e constatiamo che a 5.000m xè fadiga anche in discesa!
A causa delle condizioni meteo rientriamo a La Paz un giorno prima del previsto, così Flavia può
riprendersi e noi facciamo compagnia a Chicca.
Questa volta in albergo ci assegnano la stanza all’ultimo dei 5 piani ma, ironia della sorte,
l’ascensore è rotto! La fatica è presto ricompensata perché una volta nella stanza guardo fuori
dalla finestra e vedo il tramonto sull’Illimani, il simbolo di La Paz con i suoi 6.462m.
Sfruttiamo il giorno guadagnato per fare i turisti nel cuore di La Paz con il suo centro, la periferia,
i mercati coloratissimi e cogliamo l’occasione per fare il giro sulle teleferiche, costruite
dall’austriaca Doppelmayr e recentemente inaugurate dal Presidente Evo Morales, che collegano
tutte le zone della trafficatissima capitale. Il costo del biglietto è davvero contenuto per incentivare
l’utilizzo di questo mezzo di trasporto tra la popolazione locale allo scopo di alleggerire il traffico
della città. Noi decidiamo di prendere 4 linee e questo ci consente di godere della vista di La
Paz dall’alto in poco più di un’ora… Certo è che siamo il Gruppo di Corsa in Montagna e colti da
senso di orgoglio decidiamo che l’ultimo tratto in discesa dobbiamo farlo a piedi per la bellezza di
700 m di dislivello!
Il grande giorno arriva, lo avevamo davanti agli occhi da una settimana, lo sognavamo da mesi: si
parte.
Huayna Potosì 6.080m sul livello del mare, 2.280m sul livello del Titikaka.
Siamo in 6 (manca Flavia) e percorriamo col furgone piste magnifiche sugli altopiani fino al passo
del Zongo a 4.800m: ovviamente non doveva esserci neve, ma ormai ce ne siamo fatti una
ragione. Scarichiamo il materiale tecnico, c’è il tempo per un pranzo veloce con riso, pollo e
patate e ci incamminiamo al campo alto a 5.150m.
A metà strada ci fermiamo e calziamo i ramponi (ma non dovevano esserci solo pietre?). A onor
del vero NOI calziamo i ramponi mentre i nostri portatori indossano stivali di gomma, e due
ragazzi e una ragazza, con le sneakers ai piedi, salgono non per compiere imprese atletiche ma
per fare un pupazzo di neve. Anche questo è Bolivia.
Il rifugio del campo base è molto confortevole, il panorama da urlo, e ormai nei nostri occhi e
nella nostra testa si è impressa questa montagna così bella e invitante. Purtroppo mentre ci
stiamo rilassando con il Mate e biscotti arriva Chicca esausta per l’Alta Quota e debilitata per
l’influenza dei giorni precedenti.
La notte è breve ed insonne. La sveglia suona a mezzanotte e mezza e senza indugio usciamo
dai sacchi a pelo e ci prepariamo. Facciamo una piccola colazione ed alle 2 siamo pronti.
Organizziamo tre cordate con le nostre tre guide: Mukuku e Dario, Dusty e Walter e Igor con la
guida Andreas.
Fuori fa freddo e tira un forte vento, tutto è gelato e qualcosa non mi convince: le guide
indossano due piumini. Ci incamminiamo alla luce delle frontali e subito ci rendiamo conto che
non siamo soli: davanti a noi scorgiamo una scia di luci.
Ogni 15 minuti le guide si fermano per farci prendere fiato. Io sono un blocco di ghiaccio e
davanti a me Dario è ricoperto dal ghiaccio: la temperatura è sicuramente inferiore ai -10°C. Il
nostro ritmo a queste quote è così lento che non ci permette di produrre calore; guardo Dario e
per tacita approvazione dico a Julio: ”Basta soste, VAMOS A LA CUMBRE!”.
Siamo a 6.000m il cielo si colora, l’alba è avvolta dalla tormenta di vento, alle 6:30 siamo in vetta
e non siamo soli: le lucine davanti a noi ora hanno un volto. L’emozione è immensa e mi scende
una lacrima, abbraccio il mio compagno di cordata (mi scende ancora oggi quella lacrima) e
abbraccio la nostra guida.
Poco dopo arrivano Igor e Dusty, mentre Walter, stremato dal freddo, si è dovuto fermare a quota
6.000m, a pochi metri dalla cima.
Ormai si è fatto chiaro, siamo nel cuore del ghiacciaio, nel cuore del Huayna Potosì: magnifico!
Iniziamo a scendere passando tra crepacci e ponti di neve, il vento non molla ma siamo caldi
dentro ed in fondo vediamo le case di La Paz.
Arrivati al campo alto ci aspetta Chicca che ci ha seguiti durante l’ascesa, non ci resta che
scendere tutti assieme. Raggiunto il rifugio al passo del Zongo rompiamo finalmente l’astinenza da
alcol e brindiamo con le guide con una birra Pacena, non dimenticando di ringraziare, come
tradizione vuole, Pachamama, la Madre Terra, e poi brindando al CAI CIM.
I giorni successivi facciamo i turisti ma in modalità veloce, perché nel frattempo l’acclimatamento
sta dando i suoi frutti.
Così non può mancare la visita a Tiahuanaco, la città di pietra, un importante sito archeologico
preincaico caratterizzato da monoliti in pietra di dimensioni notevoli; una gita per esplorare le
magnifiche gole del Canyon di Palca; una gita finale a La Valle della Luna, a pochi km dal centro
di La Paz, composta da canyon e pinnacoli causati dall’erosione del terreno argilloso.
L’ultimo giorno decidiamo di tornare verso il passo del Zongo, attratti ancora una volta dall’Huayna
Potosì che ammiriamo in tutta la sua bellezza, ma la meta questa volta è El Chacaltaia, una ex
stazione sciistica. Il programma prevede di arrivare con il furgone fino a 5.150m e poi salire in
vetta a 5.350m ma ancora una volta la neve caduta copiosa nei giorni precedenti ci ostacola. Il
furgone si ferma a quota 4.700m dopo aver percorso, stranamente indenne, piste mezze
ghiacciate con pneumatici slick. Da qui iniziamo a camminare e notiamo subito che il nostro ritmo
è davvero veloce rispetto ai compagni di gita… ciononostante il poco tempo a disposizione non ci
permette di raggiungere la vetta.
Le cose belle finiscono e i Fantastici 7 rientrano a casa.
Un’esperienza così non ti lascia. Spesso ripenso e rivivo le emozioni e sento le lacrime di gioia e
di ricordo.
Un ricordo al mio compagno di cordata Dario alle Nostre lacrime di gioia assieme a 6.000m,
eravamo i Fantastici 7, ci hai lasciati per volare ancora più in alto, quella corda me la terrò
sempre legata al cuore, Grazie!
Una Grazie a Dusty, la mente, l’ideatore. Un grazie alla Società Alpina delle Giulie che ha reso
possibile questa meravigliosa spedizione.
Claudio Mukuku Sardella
C.A.I. Società Alpina delle Giulie
Gruppo di Corsa in Montagna
Dario Davo Loredan
Federica Chicca Lippi
Flavia Devetta
Lorenzo Dusty Cadelli
Igor Stossi
Walter El Gomer Sanzin
Claudio Mukuku Sardella