di Dario “Davo” Loredan
1986: ho appena concluso il mio primo trekking lungo, l’Alta Via 2 delle Dolomiti, e l’esperienza mi è entrata nell’anima; giro le librerie specializzate di Trieste e faccio incetta di libri e guide che mi diano spunto per le prossime avventure. In uno di questi volumi, quasi nascosta nell’ombra delle Grandi Traversate Alpine nel cuneese, in Valle d’Aosta, nelle Dolomiti o nel Bernina, un itinerario quasi secondario, a quote modeste, che schiva le cime più alte, mi solletica la fantasia: la Via dei Monti Lariani.
2012: seduti ad un tavolo, accompagnati da un boccale di birra o di vino rosso, a seconda del gusto, con gli amici del CIM si organizzano gli impegni e i divertimenti futuri: bon muli, chi ga qualche idea per la traversata de sto anno? propone qualcuno… un tarlo nella memoria, evidentemente mai del tutto assopito, si risveglia… tornato a casa recupero dagli scaffali la raccolta di relazioni descrittive: eccola pronta la nostra traversata di oltre 120 km in bilico sulle creste occidentali del Lago di Como!
2013: un rinvio di un anno per i soliti, troppi impegni, ma per il ponte di ognissanti è tutto pronto: alcune ricerche in internet e libreria, e i proficui contatti con le comunità montane del Lario hanno permesso di raccogliere cartine topografiche recenti e dettagliate, oltre a varie pubblicazioni descrittive del percorso; le tappe sono pianificate e i punti di appoggio prenotati… ragazzi partiamo!
PRIMA TAPPA: La cena con suggestiva vista notturna sul lago e su Como fa da felice preludio all’avventura (ma el brodeto de pesce a la triestina xe un’ altra roba); un brindisi a base di Braulio, il liquore tipico della zona, due chiacchiere con i cordiali gestori dell’albergo e tutti a nanna. La mattina del primo novembre, dopo breve briefing iniziale, controllo degli zainetti e le foto di rito siamo pronti a partire: un folto gruppetto di 8 runners attraversano al trotto il borgo di Cernobbio e iniziano la salita al Monte Bisbino. Un sole umido ma insolitamente caldo per la stagione ci accompagna per i quasi 1000 m di dislivello iniziali: superiamo qualche escursionista incuriosito e, persino in anticipo sulla tabella di marcia (…ciò muli, no xe miga una gara…), scolliniamo la Colma del Bugone. Il tracciato è scorrevole lungo una bella strada forestale, in bilico sulla comoda cresta che divide la distesa del Lago dalla Valle di Muggio, ad ovest, verso la Svizzera: alberi secolari e vecchi casolari isolati, alcuni abbandonati, altri adibiti a rifugio, radure prative e bei boschi di faggio, pronti al riposo invernale, fanno da cornice al nostro incedere. Una pausa veloce per rifocillarsi, qualche foto; incrociamo alcuni ciclisti in MTB, con cui scambiamo un saluto augurandoci il buon esito delle reciproche escursioni, superiamo la quota più alta della giornata (ca. 1250 m) e raggiungiamo la caratteristica borgata delle Crocette, dove possiamo ammirare una tipica nevera, la costruzione circolare in sasso, parzialmente interrata, con copertura in legno, usata nel passato per conservare anche nei mesi estivi la neve. Percorsi oltre 15 km; siamo quasi a metà tappa: tra non molto appuntamento e ristoro con le ragazze che curano la logistica. Dopo esserci rifocillati e aver riempito i camel-bag ripartiamo: traversiamo una pendice boscosa sprofondando nel fango fino alle caviglie ma in breve ci riportiamo sulla forestale che ci dovrebbe accompagnare sino quasi a fine tappa. Ancora splendidi scorci verso il Lago di Como, pascoli idilliaci e caldi colori autunnali, ma poca gente in giro! Raggiungiamo gli ultimi abitati di Casasco affacciati alla Valle d’Intelvi: vecchie case rurali adibite a belle residenze estive. Un ultimo strappo in salita verso il Rifugio Giuseppe e Bruno, un traverso sui prati che ospitavano una dismessa pista da sci – un isolato ed inutile sparo quasi verticale di 500 m di dislivello: piani regolatori degli anni ‘70! – muli, ocio che de la no xe più i bolli! In effetti perdiamo per un breve tratto il sentiero ma arriviamo poco dopo all’Alpe d’Orimento: da qua in poi solo 6 km tutti in discesa… infatti: toppiamo clamorosamente il primo bivio; poco male ce ne siamo accorti per tempo; dietro front e via… ciò che bel ‘sto bosco de larici: xe come in pusteria! Si, bello, ma dovevamo passare più alti, altrimenti qua si rischia di finire in Svizzera… evidentemente siamo stanchi e la vicinanza dell’arrivo ci ha rilassato: due errori di rotta in poco più di un paio di chilometri. Fortunatamente fra tutti c’è sempre qualcuno che è più attento! Oramai manca veramente poco alla fine della tappa ed infatti prima delle 16:00 arriviamo all’albergo dove ci attendono le nostre compagne!
Cernobbio – San Fedele d’Intevi: ca. 31 km per quasi 1800 m di dislivello sono i numeri registrati dai GPS per la prima tappa.
SECONDA TAPPA: Una lauta cena in un bel locale tipico, il riposo notturno e l’abbondante colazione ci fanno ripartire di buona lena e con il morale alto anche se il tempo non è buono come il giorno precedente. Il sentiero passa appena dietro l’albergo e in breve ci mangiamo i circa 600 m di dislivello iniziali: immersi nei boschi di castagno, lungo bei sentieri raggiungiamo e superiamo con vari sali-scendi diverse forcelle –chiamate bocchette, nei cui pressi ci sono sempre antichi casolari, oggi per lo più abbandonati: è una zona di caccia ma ne i cani ne i cacciatori sembrano curarsi troppo di noi (per fortuna!). Tutto sommato, dopo alcune gocce di pioggia, anche il meteo regge: non c’è il sole ma il cielo, pur se coperto, sembra tener botta. Alcune dorsali da superare a nord del Costone di Pigra, che ci separa dal bacino del Lago, ci fanno perdere qualche minuto per individuare la traccia giusta: il sentiero è solitamente ben segnato, ma i bolli sono tracciati con la corretta parsimonia! Il tragitto è meno scorrevole del primo giorno, ma l’andatura sembra buona e siamo sempre piuttosto in orario rispetto ai tempi previsti. Una bella discesa ci porta fuori dal bosco in una ampia sella prativa: un cartello indica il rifugio Boffalora, prossima tappa intermedia, alla nostra destra. La strada, asfaltata, permette di allungare il passo: bene, pensiamo, così recuperiamo un po’ di tempo e possiamo fare una bella pausa a pranzo. Sorpresa: la direzione non è quella giusta, stiamo tornando indietro… un breve consulto e ripieghiamo sui nostri passi: evidentemente il cartello è stato girato! Un poco infastiditi ritroviamo la traccia corretta: di nuovo però qualcosa non torna. La cima che si trova alla nostra sinistra, dovremmo averla a destra: nuovo consulto e nuovo ripiegamento. Questa volta ci hanno tratto in inganno i lavori boschivi, che hanno ridotto il sentiero della Via a poco più di una traccia. Finalmente arriviamo al rifugio Boffalora, posto in un posizione suggestiva e panoramica, che solo la cartina ci fa immaginare da mozzafiato: il cielo è grigio e il lago coperto dalla nebbia! Il rifugio è raggiungibile dalle autovetture ed è quasi ora di pranzo. I proprietari ci fanno accomodare nella saletta del bar – dove sembra essersi intrufolata anche la nebbia. Sorbiamo alcune tazze di the caldo, mangiucchiando le nostre scorte: purtroppo lo strudel è riservato agli ospiti che hanno prenotato a pranzo. Dal rifugio il sentiero si biforca in una variante che pur se passa a quota più alta, sembra essere molto più veloce: chiediamo informazioni al proprietario, un uomo sulla settantina, dalle folte e scompigliate sopracciglia, con i radi capelli bianchi spettinati ed un filo di barba mal rasata… Con un linguaggio colorito impreziosito da varie espressioni dialettali, ci consiglia di prendere la traccia bassa – il SUO sentiero, la traccia ORIGINALE del 1984, di cui ha TUTTI i documenti – e non la variante, che con la nebbia da problemi, a suo dire, di orientamento: pensate ragazzi, lo stradino della zona el se ga cupàa col pandin su quella strada, dopo un ritrovo conviviale con i cacciatori della zona… a noi è rimasto il dubbio se fosse colpa della nebbia o dei fumi dell’alcol… Poi, dopo qualche altro breve aneddoto divertente, ci congeda bruscamente, portando le mani alle bretelle dicendoci con marcato accento lombardo: bon ora andate, che me se brusa i funghs! Seguiamo dunque il SUO tragitto originale, senza avere la controprova delle sue tesi: in effetti il sentiero non ha problemi di orientamento ma la traccia è tutt’altro che scorrevole, su fondo fradicio, con frequentissimi attraversamenti di torrenti ed impluvi. Oltre un passaggio caratteristico attraverso una galleria militare scavata nella roccia, la via si fa più comoda: sono stradine carrabili ripide ed aeree, talvolta strapiombanti che collegano i borghi e i casolari ancora utilizzati nella zona. Man a mano che ci si avvicina al vallone del Lago di Piano, la vallata che sale da Menaggio, il fondo diventa effettivamente più veloce: traversando in discesa bellissimi boschi con querce secolari, arriviamo al punto tappa di Croce, dove ci incontriamo con le compagne della logistica. Un brodo caldo, un panino col formaggio fresco spalmabile e il prosciutto e siamo pronti per l’ultimo tratto: buoni 8 km con 400 m di dislivello, questa volta tutti in salita, non sono uno scherzetto dopo averne percorsi oltre 25! Dopo un paio di chilometri, lasciamo la strada asfaltata, per arrampicarci lungo un ripido sentiero verso il borgo di Barnia: un caratteristico paese, con le case ancora in ottimo stato, talmente vicine che sembrano sorreggersi l’une alle altre, affacciate ad una piazzetta in pietra bianca con tanto di fontana centrale, un tempo raggiungibile solo lungo la mulattiera che dovremo seguire anche noi, una sorta di pista da bob lastricata in pietra! Oggi il borgo è raggiunto ad est da una strada carrabile: forse sarà la sua salvezza, visto che è sembrato essere abitato non solo dagli irriducibili vecchietti che li sono sempre vissuti. Raggiunta una piana, denominata il Castello, la salita si fa più morbida: la giornata, che si è messa al bello, ha invitato le persone dei dintorni a qualche passeggiata. Un bivio, poi un altro, marcato con i bolli della VML in entrambe le direzioni; poi uno che indicava la nostra destinazione odierna – Breglia – apparentemente troppo ad est. Chiediamo informazioni ad una coppia a passeggio: questa volta l’interlocutore è meno folkloristico del gestore del Boffalora, e ci segnala una bella scorciatoia (tu, la davanti, fai correre l’occhio e a destra vedrai il sentiero!) che ci porta al bel borgo proprio all’imbrunire. San Fedele – Breglia: quasi 34 km e ca. 1800 m di dislivello.
TERZA TAPPA: E’ la tappa più lunga e sulla carta la più dura, anche perché c’è un unico punto dove sarà possibile incontrarci con le nostre compagne per un momento di ristoro ed è relativamente vicino alla partenza. La cena e la cordialità dei nostri ospiti non bastano a tranquillizzarci: poco dopo essere arrivati a Breglia ha infatti iniziato a piovere e non ha smesso neppure agli squittii della sveglia… Facciamo colazione con i musi lunghi, ma al momento di partire, con le primissime luci dell’alba, a sorpresa non piove più! Il morale si risolleva velocemente e partiamo rimotivati. Traversando un bosco infuocato dai colori autunnali, iniziamo a incrociare il primo dei tanti tra borghi e paesotti che caratterizzeranno la tappa odierna: il meteo sembra mettersi al bello e ci concede suggestivi scorci verso il sottostante lago. Saliamo velocemente, fermandoci giusto appena per qualche foto: alcuni agglomerati di casolari sono stati riportati all’antico splendore e verrebbe voglia di gironzolare remenandose tra le case. Purtroppo la lunghezza della tappa non ci permette di perdere tempo in amenità e continuiamo di buona lena: salendo, le zone sono via via più selvagge e il sentiero meno scorrevole. Come il giorno prima si perde un sacco di tempo a traversare gli innumerevoli impluvi e dossi del versante orientale del Costone del Bregagno, il massiccio che ci sovrasta. Intanto si riannuvola e piove: nella nebbia raggiungiamo la caratteristica chiesetta di S.Bernardo, sulla omonima sella a ca. 1100 m di quota; da qua perdendo oltre 700 m di quota si arriva al nostro posto tappa. Il primo traverso dalla chiesetta ci lascia perplessi, perché improvvisamente non ci sono più segnavia: la direzione però è quella giusta dunque si continua. Il meteo migliora e tornano anche i bolli: migliora di conseguenza anche il morale. In breve si raggiunge il caratteristico borgo di Piazza: la maggior parte delle case sono diroccate ed abbandonate. Sbucano delle pecore ed una coppia di anziani pastori col proprio cane: scambiamo poche parole, dispiaciuti di non poter accettare l’invito ad assaggiare il loro formaggio, ma i tempi sono stretti. Sarebbe stato interessante sentire la storia di quella gente legata ad un passato che difficilmente potrà tornare.
A Catasco, appena prima di Garzeno, è finalmente tempo di ristorarsi e cambiare gli abiti umidi: dopo la breve pausa si riparte. Da qua all’arrivo manca qualcosa in più di una qualunque sky-race.
Saliamo decisi, attraversando il bel centro di Garzeno: tenacemente aggrappato al versante meridionale della Valle Albano, gode di una vista spettacolare sul Lario, e ci accoglie con un caldo e solatio abbraccio. Le caratteristiche case in pietra si fanno via via più rade, lasciando il passo a zone di pascolo e malghe, un tempo principale sostentamento degli abitanti. Portatasi in quota, la traccia inizia a traversare: dobbiamo aggirare l’ampia dorsale che ci divide dalla Valle del Liro, il profondo e lungo vallone che dal Lago di Como punta ad ovest – verso la Svizzera – e che dovremo seguire sino ai piedi della cresta di confine. Grazie ai colori caldi di questo autunno mite, i paesaggi sono idilliaci, con scorci verso le aspre cime incombenti – appena spolverate da un lieve velo bianco – che contrastano con gli alpeggi sparsi lunghe i pendii prativi. Solo a tratti la corsa è scorrevole: un albero spezzatosi sul sentiero, un guado di un torrente in piena, un tratto di terreno fradicio franato, un ripido dente da superare lungo boschi scoscesi, un lastricato di pietre umide e limacciose… piccoli ostacoli che dilatano i tempi e consumano le energie! Falcata dopo falcata, passo dopo passo, un borgo dopo l’altro, passando da boschetti di conifere a querceti più o meno estesi, traversando prati più o meno diradanti sul torrente sottostante o per tratti in folti castagneti, arriviamo ad un ponte rampante in pietra ultracentenaria che rappresenta una significativa meta intermedia: da qua si inizia a percorrere il versante settentrionale della vallata, finalmente di nuovo diretti verso il Lago. Una pausa per rifocillarci in un bel poggio erboso, dove si accoccola in bella posizione l’ennesimo agglomerato di stavoli, ricoveri e stalle in pietra e siamo pronti per completare l’ultimo tratto odierno. Ancora un’insenatura da risalire e un torrente da traversare: un ponte, questa volta più moderno e prosaico, ci accompagna ad una carrareccia digradante in lieve ma costante discesa. Pensiamo: bon, xe fata! Ci rilassiamo e rischiamo di sbagliare un bivio: ostia, no, un altro vallon! Risaliamo l’insenatura e guadiamo il torrente Ronzone dovendo schivare un intrico delirante di alberi abbattuti dalla tanta pioggia dei giorni precedenti. Sta volta però è l’ultimo sul serio… le ultime luci del giorno rischiarano l’aperto panorama sul Lario che ci accoglie alla fine di questa lunga e faticosa giornata! Breglia – Livo, praticamente 42 km e più di 2300 m di dislivello.
QUARTA TAPPA: Dopo la tappa più dura, ci attende, almeno sulla carta, quella più semplice, vuoi per la distanza ridotta, vuoi per il minore dislivello che ci attende. Di mattina partiamo dall’agriturismo che ci ospita con lo spirito dell’ultimo giorno di scuola: una ripida discesa e siamo nella piana di Livo, un caratteristico paese stranamente dimenticato dagli investimenti turistici degli ultimi tempi. Il sentiero attraversa tutto il centro – quasi una città fantasma – e segue la valle omonima lungo una sterrata scorrevole: il torrente si traversa grazie un altro bel ponte in pietra e sasso… beh, oggi la giornada comincia ben! Non facciamo in tempo a pronunciare la frase che la traccia si fa più complessa. Al solito niente di particolarmente tecnico e difficile, ma un continuo susseguirsi di ripidi dossi, tratti franati, guadi di impluvi ingrossati, boschi scivolosi… Una ripida salita ci porta fuori dalla Valle sui prati sovrastanti, dove si scorgono altri borghi pittoreschi. Su questo versante le case sono le più antiche tra quelle incrociate sinora: spesso sono abbellite da pitture o affreschi con immagini sacre o iscrizioni benauguranti – risalenti sino anche al 1600! Ambienti incredibilmente intrisi della storia e della fatica degli abitanti di un tempo, fatta di stenti e pochi fronzoli, borghi e casolari in pietra arroccati e dispersi tra boschi o prati declinanti verso il Lago, ad un tiro di schioppo dalle monumentali ville neoclassiche dei signorotti dell’epoca, ambite oggi dalle moderne star patinate. Lasciamo da qualche parte i nostri pensieri e procediamo: ancora un dosso e arriviamo su una morbida schiena da cui si domina la parte terminale del Lago di Como: all’orizzonte si addensano i primi strati di nebbia e di nuvole. Qualche foto e iniziamo un lungo traverso che ci porta all’appuntamento intermedio della tappa, in località Montalto: da qua all’arrivo ci accompagnerà di corsa anche Paoletta. Immancabile, ancora un’altra insenatura: questa è la volta della Valle di Sorico. Seguendo il torrente e i suoi salti d’acqua, si potrebbe arrivare direttamente alla meta! La Via dei Monti Lariani rimane invece piuttosto alta, anche se sotto di noi la distesa del Lago ha lasciato spazio alla piana erbosa degli immissari: il Mera e l’Adda. In località Fordeccia si dovrebbe iniziare finalmente la lunga discesa conclusiva: ma la traccia indicata sulla mappa non si riesce a trovare e mancano anche i segnavia caratteristici della traversata. Gli unici bolli bianco/rossi portano – sempre in quota – ancora più lontano da Sorico. Nel frattempo ha iniziato a piovere. I tempi si sono dilatati più del previsto, anche per questa inaspettata difficoltà: così decidiamo di ripiegare sulle nostre tracce sino alla strada asfaltata che abbiamo incrociato poco prima. Seguendo questa si dovrebbe ritrovare il sentiero qualche centinaio di metri più in basso. Questa volta non ci sono dubbi e ritroviamo la via perduta: traversiamo sotto una fine pioggerellina insistente gli ultimi bei boschi e le immancabili cascine sino alla caratteristica chiesetta di S.Miro, da cui un lucido e scivolosissimo ciottolato ci accompagna nel centro di Sorico, dove ci aspettano le compagne e gli amici che ci hanno sostenuto in questa bella avventura! In una ospitale trattoria del centro – aperta ben oltre l’orario canonico – ci gustiamo un buon pasto e festeggiamo tutti assieme il successo di questo nuovo viaggio, in bilico tra due elementi – l’ acqua e la montagna – e due mondi – la felice riviera e gli aspri alpeggi – diametralmente opposti, compresi in poco più di 1000 m di dislivello, che ci hanno accompagnato per tutta questa lunga esperienza di corsa! Ultima tappa: Livo – Sorico, ca. 28 km, quasi 1300 m di dislivello in salita e oltre 1800 m in discesa.
Per il gruppo CIM: Paola “Paoletta” Bottos; Raffaele “Lele” Bratina; Lorenzo “Dusty” Cadelli; Alessandra “Sandra” Canestri; Alberto “Taz” Decristini; Flavia “Flavietta” Devetta; Claudio “Caio” Fava; Federica “Chicca” Lippi; Dario “Davo” Loredan; Abramo “Piccolo Tox” Tossutti; Marco “Tox” Tossutti; Marco “Vasco” Vascotto.
…un grazie particolare, oltre alle sempre precise e pazienti ragazze che hanno curato la logistica, a Susanna e a Robi che ha curato i muscoli delle nostre gambe, provate complessivamente da oltre 135 km e 6700 m di dislivello in salita e altrettanti in discesa…